Abstract
Il mito dell’assenza dell’oggetto ha generato la cosiddetta retorica dell’effimero attorno agli studi sull’opera d’arte danzata. Nell’ambito delle filosofie dell’arte la teoria documentale, proposta da Maurizio Ferraris, si rivela foriera di spunti e riflessioni per quanto concerne un’ontologia della danza. Secondo il filosofo torinese le opere d’arte sono degli artefatti iscritti, ovvero una classe particolare di oggetti sociali che, in quanto tali, necessitano di un’iscrizione condivisa socialmente. In questa prospettiva le tecniche coreiche e gli stili coreografici appaiono come forme di iscrizione che, attraverso paradigmi di movimento, plasmano e mettono in forma il corpo, lasciando tracce riconoscibili e condivisibili.