Abstract
Maya Deren ha prodotto, tra gli anni quaranta e la metà degli anni cinquanta del secolo scorso, un cinema visionario in cui la danza e i danzatori diventano i protagonisti della trasfigurazione del reale in arte, del viaggio dal mondo visibile a quello invisibile delle forme sottili dell’inconscio e della mente. Il saggio si incentra sul ciclo di film di Maya Deren che John Martin, critico di danza del New York Times e teorico di punta della modern dance, definì come choreocinema, «una nuova arte dove danza e cinema collaborano alla creazione di un’opera unitaria», soffermandosi principalmente su A Study in Choreography for Camera del 1945, che Deren creò collaborando con il danzatore afro-americano Talley Beatty.